venerdì 31 maggio 2013

Indispensabili accessori

Non è dignitoso andare avanti mendicando cavatappi.
Propongo ragionato acquisto dell'oggetto di seguito raffigurato.
E guai se sento volare una mosca...

domenica 19 maggio 2013

The Village Voice

Menù  a casaccio realizzato nella prima serata al Villaggio dagli emeriti blogger:

Arriva, inatteso, un casatiello napoletano, regalo di P., col quale iniziamo gli assaggi mentre ancora siamo ai fornelli

Si tenta poi di iniziare la degustazione con i carciofi moretti in olio evo Brisighello Nobil Drupa 2012 (da olive ghiacciole), ripreso pudicamente di spalle, ed un pecorino di Lecca, allevatore e produttore sardo in Brisighella, evidentemente ancora più schivo. Il tutto è frutto del bottino realizzato la scorsa domenica alla Sagra del Carciofo Moretto.

Dicevo "si tenta" perché l'avvocato entra prepotentemente in campo con il suo Litorale ravennate -sogliola nostrana con lattuga di mare e salicornia su corteccia di pino marittimo. La signora al suo fianco sopporta, visibilmente alterata.

Il piatto di Nicola merita un primissimo piano perché, nonostante la salicornia un po'spettinata, si presenta alla grande.

   
 


Si continua con "Le uova e gli asparagi" (uova d'oca, maionese di gamberi, asparagi e zucchine mini) già dettagliatamente descritto da Franco-super six in un post precedente.
Come si vede dal calice che regge l'autore, l'abbinamento è con un vino mooooolto arieggiato (brindisi coi bicchieri colmi d'aria, avrebbe detto Achille Togliani)

Persino il pane, sempre opera di Franco, è prelibato già da solo.


Segue il Cracco P...egg, l'ormai famoso uovo di Cracco (tuorlo impanato e fritto), reinterpretato daVan Cuoc con un nido di spinaci crudi, pinoli e sesamo tostati, uvetta ammollata e un'emulsione di olio, limone e gomasio. Troppo poco limone, pare, perché, giustamente, F. fa notare che manca al piatto una nota di acidità.






Sfacciatamente ilare, Aldo presenta l'ultima pietanza della serata: "Omaggio agli AC/DC (carciofo, liquirizia e ricotta di pecora)


Impossibile non pensare al Thelonius Monk ispiratore di Bottura. Tremo al pensiero che mi faranno dedicare un piatto a Orietta Berti, prima o poi..


Si finisce col lemon curd (hai visto mai che non avessimo fatto il pieno di uova...) e una fetta di plum cake alle noci e cannella di Van Cuoc.


In abbinamento:  Sauvignon Buiatti 2010 Colli Orientali del Friuli-  Collio Sauvignon  2009-  Collio Edi Keber 2011-
Alcene .... un fortana progettato da Marisa  e presentato nel 2009, del quale ignoro l'annata

sabato 18 maggio 2013

Adrià

Vi segnalo che il Ferran, da quando ha chiuso El Bulli, oltre ad insegnare  Efficacia della creatività all’università di Harvard, sta lavorando al progetto BULLIPEDIA, una wiki culinaria presentata il 20 marzo scorso,  dedicata interamente all’alimentazione e alla gastronomia, che mira alla classificazione e archiviazione dei prodotti alimentari e della loro trasformazione e che contestualmente dovrebbe diffondere il sapere di anni di sperimentazione a El Bulli.
Stando al video sotto, non vedo l’ora che sia consultabile, soprattutto perché è affidata a studiosi dell’università di Barcellona da lui coordinati e alla sua esperienza in cucina e non a chiunque si alzi una mattina con l’impulso irrefrenabile di sproloquiare sul lampascione  (per questo abbiamo i blog su cui sfogarci).
Ah… si comincerà a girare  (forse entro l’anno)  anche il film El Bulli, ispirato al libro di Lisa Abend  The Sorcerer's Apprentices: A season in the kitchen at Ferran Adrià's el Bulli, che ricostruirà per noi feticisti l'ultimo anno di apertura del locale, il 2011.

venerdì 17 maggio 2013

Sacro fuoco

L'ultimo trend della gastrosofia è l'extreme barbecueing.

Propongo perciò di ambientare il prossimo evento sull'Etna; in notturna sarebbe ancora più fascinoso.

giovedì 16 maggio 2013

COME PELARE UN UOVO COTTO :PASSATELLI , BUONA LA PRIMA

Ecco un breve resoconto della prima uscita dei "PASSATELLI IN GHINGHERI"nella serata organizzata da Vanna Linari e Franco Bertazzini , che ha visto ai fornelli anche  l'avvocato Nicola Bombardini , L'ing. Aldo Soloni e lo scrivente franco Campese
Il tema della serata doveva essere le declinazioni di uova e asparagi , anche se poi  il rischio di minare i valori biologici dei trigliceridi hanno consigliatio i piu' prudenti ad optare x altro .
Il tema invece io lo prendo con grande serieta' e forte della preparazione teorica ( MODERNIST CUISINE dell'ex braccio DX di Bill GatesNathan Myhrvold) ma anche pratica tecnica ,. tanti anni di prove sul tema "UOVO" , assemblo il mio piatto : " UOVA DI OCA , ASPARAGI IN DUE COTTURE , FIORI DI ZUCCHINA , MAIONESE DI GAMBERO ANTARTICO , PEPE NERO E OILO DI FERRANDINA "
Il problema principale e'  naturalmente l'uovo . Il grande uovo di oca  , viene infatti bollito 6 minuti , raffreddato , poi cotto a 62 gradi 45 min , dopo un'altro raffreddameneto , bruciato con Blowtorch .. tutto questo lavoro , dovrebbe permettere di pelarlo con facilita' ... ma..... uova troppo fresche ? qualche imprecisione ? Vabbe' il piatto era cmq molto buono , almeno secondo me.

Il resoconto del resto della serata lo lascio ai simpatici compagni della bella serata ..

sabato 11 maggio 2013

Parmigiana???

Ovviamente nulla da dire: la parmigiana parrebbe non avere nulla di 'emiliano-romagnolo' se non un nome che potrebbe trarre in inganno e farne risalire le origini a Parma. Beh, questa versione, che in famiglia mia si fa da generazioni e che ho trovato solo in un foglio strappato da mia nonna apparentemente a un antichissimo libro di cucina, al quale non si riesce a risalire, sembra smentire abbastanza la premessa. Certo è anche più 'tosta' della versione napoletana o siciliana, ma provatela una volta sola nella vita e ditemi se non è STRA-OR-DI-NA-RIA.

In tempi non sospetti ne parlai nell'antesignano dei siti di cucina, Coquinaria, creato da Rossanina Del Santo, aretina come l'amico blogger, ma qualcuno mi infamò perché avevo usato impropriamente il nome parmigiana per questa ... 'cosa'.  Però tutti quelli che la mangiano poi me la richiedono, quindi consiglio ai puristi di chiamarla 'quer-pasticciaccio-brutto-co-la-meranzana' ma di provarla!





Parmigiana alla Van Cuoc (di solito la teglia viene colma ma mi ero stancata di friggere)




Ingredienti: (non do dosi perché dipende dalla grandezza delle vostre teglie)
melanzane nere tonde
uova sode
un uovo intero
mortadella
parmigiano
sugo di pomodoro
basilico
sale , pepe
olio di semi di arachide

La parte più insopportabile è friggere, in tanto olio bollente, le fette di melanzana (vanno bene anche le melanzane lunghe ma le 'tonde nere'  -per intenderci quelle che arrivano a pesare mezzo chilo cadauna, di più recente mercato, sono ideali). Fatele pure a fette spesse perché poi si assottigliano e si avverte meno il loro sapore. Ripeto: olio bollente e melanzana possibilmente fredda da frigorifero, perché la melanzana è avida di olio e se lo pappa senza ritegno. Una volta fritte e scolate ben bene su chilometri di carta da fritti, il più è fatto. Ora si tratta di comporre la parmigiana in questo modo:

primo strato di melanzane a foderare tutta la teglia, qualche leggerissima cucchiaiata di passato di pomodoro che avrete ristretto con pochissimo olio evo e abbondante basilico, una grattugiata di parmigiano su tutta la superficie, coprire con mortadella affettata

secondo strato di melanzane, pomodoro, parmigiano e uova sode tagliate a fette sottili con l'apposito attrezzo (in una teglia come la mia ce ne sono 4)

terzo strato di melanzane, pomodoro, parmigiano e mortadella

ultimo strato di melanzane e pomodoro che coprirete con un uovo sbattuto e parmigiano

mettere tutto in forno a 170° per una ventina di minuti a far dorare.

Il giorno dopo è ottima. Se poi la congelate, abbiate l'accortezza di sporzionarla dentro la teglia quando è ancora un po'congelata, così i quadrotti vengono perfetti e la buccia delle melanzane non vi ostacola.








venerdì 10 maggio 2013

Vermetti satanici

Di seguito riporto lo stralcio della normativa comunitaria in materia di igiene alimentare riguardante l'obbligo di abbattimento di temperatura per il consumo di pesce crudo.




REG. CEE 853/2004 – All. II - Sez. VIII - Cap. III – Lettera D

 

“REQUISITI RELATIVI AI PARASSITI”

 

1. I prodotti ittici di seguito precisati devono essere congelati a una temperatura non superiore a –20°C in ogni parte della massa per almeno 24 ore; il trattamento dev'essere eseguito sul prodotto crudo o sul prodotto finito:

a) i prodotti della pesca che vanno consumati crudi o praticamente crudi;

b) i prodotti della pesca a base delle specie seguenti, se devono essere sottoposti ad un trattamento di affumicatura a freddo durante il quale la temperatura all'interno del prodotto non supera i 60°C:

i) aringhe,

ii) sgombri,

iii) spratti,

iv) salmone (selvatico) dell'Atlantico e del Pacifico;

c) prodotti della pesca marinati e/o salati se il trattamento praticato non garantisce la distruzione delle larve di nematodi.

2. Gli operatori del settore alimentare non sono obbligati a praticare i trattamenti di cui al paragrafo 1 qualora:

a) i dati epidemiologici disponibili indichino che le zone di pesca d'origine non presentano rischi sanitari con riguardo alla presenza di parassiti;

b) le autorità competenti lo autorizzino.

3. I prodotti della pesca di cui al paragrafo 1 devono essere accompagnati, alla loro immissione sul mercato, da un'attestazione del produttore che indichi il trattamento al quale sono stati sottoposti, salvo qualora siano forniti al consumatore finale.

A rotta di Collio

Martedì 14 farò rotta verso l'amato Collio.
Chi fosse interessato ad acquistare del vino è pregato di comunicarmelo.
Fra le aziende vinicole già battezzate figurano:
- Edi Keber
- Dario Raccaro

Saluti cari

martedì 7 maggio 2013

Bufala

Spett.le VanCuoc,
vorrei sapere se nel novero dei caseifici da Lei presi in considerazione per l'ipotetico tour campano compare anche la Tenuta Vannulo di Capaccio Scalo (SA).

http://www.vannulo.it/home.html

Il suddetto caseificio è citato in un recente post di Bonilli e ha tutta l'aria di produrre ottime mozzarelle. Inoltre consente una visita guidata.
A meno che non sia tutta una bufala.

I miei ossequi.

Aretino in esilio


Aretino nostro carissimo,
le rispondo sul suo stesso post. Se lei avesse letto con la DOVUTA attenzione ciò che ho pubblicato l'8 febbraio u.s. (ANDIAMO A CILENTO), saprebbe che la Tenuta Vannulo è appunto fra le mete previste, pluricitata anche a voce.
La curiosità rispetto a questo caseificio, anziché altri, mi è venuta dall'articolo di Lidia Ravera che segue: 


Tutto quello che sapevo sulla mozzarella di bufala prima di incontrare Tonino Palmieri: che sono più care delle altre, che emettono acqua bianca quando le tocchi e sporcano i pomodori, che nelle pizzerie abilitate a spacciarle sulla pizza margherita puoi ordinare una Falanghina decente (non soltanto Pinot alle polverine), che le produttrici del latte di cui sono composte sono nere, rare, brade, cornute e di buon carattere. Sapevo che la mozzarella di bufala ingrassa e aumenta il tasso di colesterolo nel sangue. Me ne tenevo alla larga, in quella penitenza di sogliola e verdura tipico delle fanatiche della taglia 40/42.
Poi, su istigazione di questa rivista, mi sono recata a Paestum, schivando i templi e infilandomi, qualche chilometro più in là, nella Tenuta Vannulo, azienda biologica certificata, caseificio e yogurteria. E a quel punto il mio rapporto con; la bufala è cambiato. Credo definitivamente. j Entri fra due pareti di ulivi trattati a siepe, e lì subisci il primo scons certo: non erano, gli ulivi, alberi dal tronco contorto e come scolpito? Mai visti riuniti e compattati a siepe, a delimitare un corridoio d’ombra. E la prima novità del luogo. La seconda novità è il gentiluomo alto e quasi biondo, in camicia di lino e cappello ranchero che ti accoglie: compito, ironico, si gode la tua sorpresa. L’azienda consta di ville antiche perfettamente restaurate e antiche cascine, una ad uso abitazione, una a museo, una a laboratorio e così via. Si respira l’aria pulita e imprevista di un passato conservato con cura, ricreato se è il caso. La tecnologia c’è, ma è ben nascosta. Sul piazzale più esposto si apre «il negozio» dove fanciulle, coi capelli raccolti sotto candide cuffiette, vendono: mozzarella, bocconcini, aversana, trecce, treccine, cardinali, yogurt, scamorza, provola affumicata, riçotta, burro, gelati, budino. Tutto di bufala.
E domenica mattina. Il piazzale è gremito di automobili. C’è agitazione. Gli acquirenti trasudano ansia: quando le mozzarelle di bufala finiscono, non c’è modo di ottenerne altre.
14 quintali di latte al giorno, compongono 3 quintali e 60 di mozzarella.
Esaurite quelle, tutti a casa. La catastrofe si consuma verso mezzogiorno. Al tocco è già tutto
finito. Terza novità: il consumo a numero chiuso. È vero che induce l’umano goloso a indulgere nella competizione (io li vedo che si controllano l’un altro, biechi, gli ultimi arrivati), ma aumenta il valore del bene scambiato.
Per ottenere la Bufala Vannulo tocca levarsi al canto del gallo e quindi inoltrarsi fino alla Tenuta Vannulo. Qui nulla si spedisce e nulla si distribuisce, tutto si vende al dettaglio come un premio ai fedeli che han camminato fino alla meta. E allora la bufala diventa sacro graal, prototipo, pezzo unico, trascende il suo, pur succulento, statuto alimentare, per attingere ai cieli dello status symbol.
«Non hai mai gustato la treccia della Tenuta Vannulo? Ah beh… allora…». Segue sospensione svalutante. Sottotesto: allora non sei un buongustaio, un bon vivant, un sensuale. Allora non sai che cosa sono le gioie del palato… probabilmente pasteggi a cocacola, forse ti accoppi nella posizione del missionario, magari indossi tessuti sintetici e così via. Viviamo tsmpi poveri di gioia: sovrastimare il ciho, sia come valore simbolico che come esperienza emotiva, è pratica sempre più diffusa.
lo non sono quel che si dice un gourmet, non commento il contenuto del mio piatto come se fosse destinato a soddisfare bisogni altri dal nutrimento, eppure… Eppure un po’ di commozione, quando mordo la carne bianca della mozzarella, quando entro, per così dire, nel vivo del formaggio, la provo perfino io.
L’ho vista nascere, la mammella metafisica che sto addentando e çhe, violata dagli incisivi superiori, piange latte.
E' tutto in mostra, qui. Il laboratorio affaccia da una vetrata sul cortile, dove una trentina di pellegrini del cibo, come padri in attesa fuori dal nido del Reparto Maternità, seguono le fasi del farsi del prodotto. lo sola, privilegiata, sono dentro, le Superga che muovono caute sul pavimento bagnato, io sola, mi aggiro fra tinozze e tubi, affiancata dal gentiluomo caseario, mentre cinque artigiani lattari eseguono, in un silenzio da chiostro, le mansioni previste. .
Dunque, funziona così: il latte arriva dalle stalle dell’azienda alle 4 e mezzo del mattino. Viene cagliato con caglio naturale (stomaco di vitello!). Il processo di maturazione dura quattro ore e mezzo. Si formano dei pani triangolari di 15 chili l’uno. I pani vengono inseriti in una macchina che li trincia a listarelle. Trinciati, vengono investiti con getti di acqua bollente, cento gradi, pochi minuti e sono cotti. Cotti vengono mescolati in un tondo mastello di acciaio, quindi sono gettati con la loro acqua in un setaccio e poi tuf; fati in una vasca di acqua fredda. Lì tre uomini, due da una parte ;. e uno dall’altra, velocissimi, mettono a punto i bocconcini. Cioè: manovrano la pasta di bufala, la formano, la mozzano (da qui il nome: mozzarella, da mozzare), la chiudono. L’ovolina è fatta.
A guardarli, questi ragazzi così seri, mentre lavorano quella grande tetta candida, le maniche rimboccate, le braccia abbronzate, c’è. sentore di sesso e di culla. Di sacro e di carnale.
Sono soltanto in 23 a lavorare nell’azienda agricola Vannulo anche se l’efficienza darebbe l’idea di altri numeri. Ma il gentiluomo Palmieri è un cultore del piccolo. Fabbrica famigliare. Lavoratori ben pagati, in regola e fidelizzati. Lavoratori che vedono e mangiano ciò che producono. Scarsamente alienati. Flessibili negli orari, ma garantiti dall’orrendo precariato. Marx sarebbe soddisfatto. Qui la rivoluzione industriale è in stand-by. Qui fai ciò che mangi e sei ciò che fai. Di conseguenza fai ciò che sei. Oltre a essere ciò che mangi, come tutti noi.
La cultura del piccolo, penso mangiando una fettina trasparente di ricotta spalmata di miele, è lei, la cultura del piccolo, che mantiene il gusto, deciso, differenziato, tanto che mangiare da necessità si fa esperienza? Il «glocal» si contrappone all’insipido «global»: carciofi d’inverno, asparagi a Natale, uva sempre, pomodori dal profumo di tubero. . .
La produzione locale è sapore in cambio di danaro. Se ti muovi da Milano per acquistare la mozzarella a Paestum, la pasta a Gragnano, il limoncello a Majori… dovrai anche dormire in un albergo, bere un caffè, comprare una cartolina. Ecco che il luogo benedetto dall’artigianato alimentare produce turismo, quindi ricchezza, occupazione, orgoglio. Il pianto storico del Mezzogiorno che tante «casse» ha svuotato, non potrebbe tacere, finalmente, a colpi di latte e sole, fecondità della terra, pesce fresco, limone pizza e fichi?
Tonino Palmieri è un custode del piccolo, un teorico della resistenza al successo che allarga, che sfonda e sforma e banalizza.
Dice: «Bisogna mettere la tecnologia al servizio della natura. Usare i mezzi della modernità per tornare indietro». .
Le bufale, che vado a visitare per ultime, gliene sono grate. Sono 500 belle giumente marrone scuro, masticano lente e ti guardano. con occhi a forma di foglia. Mentre mangiano, una doccia le rinfresca, vengono munte due volte al giorno: dall’uomo (natura) e da un ciuccio elettronico (tecnologia)
L’uomo pulisce la tetta, con le sue mani sensibili, la macchina, con la sua forza non soggetta a variazioni, fa il resto. Ogni novanta bufale ci sono tre tori. I tori montano le bufale, quando natura vuole.

Ma soltanto a quello servono. Se dal ventre della bufala ingravidata nasce un maschietto, si butta o si regala. Non è pregiato il maschio, fra le creature da latte. Il fallo sta a zero, conta la mammella. Il bufalo lo sa e riga dritto. Lì vicino, fra le pareti antiche di un altro casale in pietra, fra pochi mesi, si aprirà una pelletteria, dove la pelle dei defunti verrà conciata in cose, piccoli oggetti, ispirati al vicino museo della cultura contadina, in cui si possono ammirare secchi e grattugie a manovella, falcetti e martelli, carri e padelle. Non sarà certo un «country Prada» che spaccia borse di bufala, a trecento metri dall’animale vivo. Sarà una bottega di pezzi unici. Piccola, speciale. Poco più in là, altri lavori sono in corso: una macelleria, anch’essa ben inserita fra mura antiche in ristrutturazione.
Fa una certa impressione, dopo esserti intrattenuta con le bufale, passeggiare fra i luoghi adibiti a lavorarne le spoglie. Vivono tredici, quattordici anni, come i cani.

Belle, pulite. Le loro deiezioni (un abbondante tappeto dello stesso colore del pelo) vengono pettinate via da una macchina e messe da parte per concimare i prati.
Il loro benessere è controllato da un veterinario a tempo pieno, attraverso sensori inseriti nel collare: si sa quanto latte hanno fatto, se sono in forma, se si sentono fiacche. Carino, no? Alcuni amici miei ipocondriaci ci andrebbero a nozze con una soluzione così efficace. Fine delle ansie sulla salute.
Eppure, pure loro, povere bufale ben allevate e uccise con unico colpo di pistola nel punto giusto, finiranno in qualche piatto.
Il filetto di bufala sta per essere lanciato come prelibatezza per carnivori.
Per le anime sensibili, meglio la mozzarella. Bianca, morbida, masticabile.
Indigesta e innocente.   
LIDIA RAVERA
Vancuoc



sabato 4 maggio 2013

e se i passatelli non vanno in costiera....

la costiera verrà a noi.
Mi hanno portato i limoni da Amalfi e questa volta li ho tradotti in lemon curd. Ottimo da spalmare sul pane tostato a colazione, per una crostata al limone o torte farcite, per una pennellata di giallo acceso sotto un budino di fragole o per quello che la vostra fantasia vi suggerisce

la stampante di casa ha un foglio irrimediabilmente inceppato - prometto
che domani provvederò a stampare etichette meno indecenti

Si fa con un multiplo di:

1 uovo e 3 tuorli
90 g di zucchero
60 g di burro già morbido
45g di succo di limone
la buccia grattugiata di 1 limone
un cucchiaio di limoncello

mescolate bene il tutto (tranne il limoncello: io ne metto un cucchiaio prima della chiusura del barattolo per conservarlo meglio, poi rimesto quando lo apro), senza montarlo per non incamerare troppa aria.
Mettetelo a cuocere a fiamma bassa fino a quando si addensa e diventa trasparente e, a quel punto, fatelo sobbollire per un paio di minuti. Sterilizzate i barattoli in forno a 200°. Passate il lemon curd al minipimer per evitare eventuali grumi che sicuramente si saranno formati e, dopo averlo messo nei barattoli e a condizione che non sia destinato a bambini, coprite col limoncello. In questo modo si conserva per 15-20 giorni.


giovedì 2 maggio 2013

Oriente v/s sfogline...

del cui ritmico movimento sull'impasto vi ricordo una splendida definizione:   sculettando un solitario samba     (non so a chi attribuirla, devo averla letta anni fa da qualche parte, in un libro di cucina o, più verosimilmente, ispirata da Sofia Loren che impasta pizza ne L'oro di Napoli; ma da allora fare la pasta, meglio se ascoltando Chico Buarque, è diventato anche più divertente).

Questo è un modo più pechinese e meno suadente di arrivare al noodle della questione:

http://youtu.be/LEo3dqqD4vg

mercoledì 1 maggio 2013

Lucky Peach

Stasera finalmente mi e' passato per le mani Lucky Peach Issue 3 o - se volete - come ti brutalizzo il mondo degli chef e dei ristoranti a tal punto da renderla banalmente ordinaria, stressante e talmente simile ad un qualsiasi mestiere di tornitore o dell'operaio da fonderia o - a pag 28 - di un soldato in missione di guerra da soffrire di PTSD Post Traumatic Stress Disorder ! Tanti articoli, colloqui, discorsi tra simili, interviste, domande sulla deriva mediatica degli chef che mi e' sembrato alla fine di essere uno psicologo dopo 100 sedute liberatorie ! Un enorme qualita' di tutti quelli che hanno scritto e testimoniato: hanno raccontato le cose come stanno con una trasparenza - ed ingenuita' - che solo gli americani sanno avere e che nessun italiano immaginerebbe mai di affidare ad una riga scritta nero su bianco.

Non so se fare i complimenti a Lucky Peach o se accusarli del rischio di non frequentare piu' un ristorante. Proprio oggi parlavo con un ristoratore che mi parlava - guarda la coincidenza - delle sue lunghe giornate di lavoro con relative frustrazioni per l'impossibilita' di allontanarsi dalla "Sua Cucina" per 2 giorni di ferie perche' di fatto se li passa al telefono per sapere come procede la cuscina e continuare a impartire ordini al suo gruppo.....
 Che dite: amore o follia ???!??!??



P.S. In basso a sinistra in copertina c'e' una frasetta gettata li' (casualmente?): "E' la fine della cucina?"

P.S.2  Lucky Peach no.3 in Italia non potrebbe essere scritto.