domenica 19 gennaio 2014

Nebraska

Saltato a piè pari Still Life, perché ho preferito  incontrare  amici che avevano espresso il desiderio di passare da me, qualche giorno dopo ho avuto modo di vedere invece Nebraska di Alexander Payne, del quale film, stranamente, non avevo ancora letto nulla che non fosse riferito al successo ottenuto a Cannes, e ai Golden Globes, o alle nomination agli Oscar.
Certo,  tralasciando anche qui la scarsa fedeltà ad un’America rurale indubbiamente diversa e anche più sottile e meno smaccatamente esasperata nella definizione dei personaggi (leggo da qualche parte che il figlio buono è troppo buono, i parenti idioti troppo idioti e via di seguito, ed è innegabile) e accettandolo come una favola qual è (concediamo al cinema e alla letteratura di essere anche questo), mi sento di  affermare che sia una favola bella e ben riuscita, DA VEDERE.
Siamo all’ennesimo road movie.  Della serie: se avete un trancio di rapporto irrisolto con la madre, con il padre, con la zia, col fratello rain man, con un amico, con voi stessi, investite i soldi a disposizione non dallo psicanalista,  ma in un viaggio concreto, in auto, in pullman, in trattore (ricordate  Una storia vera di Lynch?)  con l’interessato/a e darete a lui e a voi una possibilità di riscatto; un viaggio che oltre ad essere con la persona in questione è soprattutto verso la medesima.
Attraverso una fotografia in bianco e nero da Oscar, il superlativo Bruce Dern interpreta Woody Grant, un vecchio che, posso assicurare per esperienza, come tutti i vecchi che hanno smarrito nel tempo le proprie capacità selettive, crede nel volantino pubblicitario che gli arriva a casa e che gli segnala una sostanziosa vincita in denaro.  Vincita che intende fermamente andare a riscuotere, assecondato da un figlio che prima tenta  invano di riportarlo alla realtà, poi evidentemente si convince che la cosa migliore da farsi sia assecondarlo.
Ebbene, i caratteri saranno pure enfatizzati, ma l’insieme è talmente emozionante e ironico, competente nella descrizione dei bisogni ‘ottusi’ dell’anziano, recitato alla grande, che non è possibile non goderselo da cima a fondo.

 E, tanto per metterci la solita fetta di me, è tornato prepotentemente a galla il dubbio che mi ha accompagnato per qualche anno, e cioè se fosse giusto o meno negare a mio padre il suo desiderio, più volte ribadito, di fare una viaggio aereo insieme prima della sua morte, solo perché ho creduto di rendermi conto della difficoltà che questo avrebbe rappresentato per la sua ormai inesistente forza fisica e difficoltà a reggere uno spostamento  anche fino al supermarket.  E, a chi afferma che il finale che vede il vecchio Woody trionfante sul suo pick-up sia davvero  inverosimile, ricordo che, sempre mio padre, allora ultraottantenne, quando  arrivai da lui con una decapottabile, volle andare a un matrimonio con l’auto scoperta, la coppola, gli occhiali da sole e un foulard all’inglese al collo,  perché sosteneva di essersi immaginato così da sempre (?!?).  Ragazzi, i sogni,  anche banali, esistono e se alcuni dedicano loro (stavo per scrivere sprecano, ma mi sono autocensurata) una vita, altri li lasciano affiorare appena la ragione non agisce più da deterrente.



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