Saltato a piè pari Still Life, perché ho
preferito incontrare amici che avevano espresso il desiderio di
passare da me, qualche giorno dopo ho avuto modo di vedere invece Nebraska
di Alexander Payne, del quale film, stranamente, non avevo ancora letto nulla
che non fosse riferito al successo ottenuto a Cannes, e ai Golden Globes, o
alle nomination agli Oscar.
Certo, tralasciando
anche qui la scarsa fedeltà ad un’America rurale indubbiamente diversa e anche
più sottile e meno smaccatamente esasperata nella definizione dei personaggi (leggo
da qualche parte che il figlio buono è troppo buono, i parenti idioti troppo
idioti e via di seguito, ed è innegabile) e accettandolo come una favola qual è
(concediamo al cinema e alla letteratura di essere anche questo), mi sento di affermare che sia una favola bella e ben
riuscita, DA VEDERE.
Siamo all’ennesimo road movie. Della serie: se avete un trancio di rapporto
irrisolto con la madre, con il padre, con la zia, col fratello rain man, con un
amico, con voi stessi, investite i soldi a disposizione non dallo
psicanalista, ma in un viaggio concreto,
in auto, in pullman, in trattore (ricordate
Una storia vera di Lynch?) con l’interessato/a e darete a lui e a voi una
possibilità di riscatto; un viaggio che oltre ad essere con la persona in
questione è soprattutto verso la medesima.
Attraverso una fotografia in bianco e nero da Oscar, il superlativo Bruce Dern interpreta Woody Grant, un vecchio che, posso assicurare per esperienza, come tutti i vecchi che hanno smarrito nel tempo le proprie capacità selettive, crede nel volantino pubblicitario che gli arriva a casa e che gli segnala una sostanziosa vincita in denaro. Vincita che intende fermamente andare a riscuotere, assecondato da un figlio che prima tenta invano di riportarlo alla realtà, poi evidentemente si convince che la cosa migliore da farsi sia assecondarlo.
Attraverso una fotografia in bianco e nero da Oscar, il superlativo Bruce Dern interpreta Woody Grant, un vecchio che, posso assicurare per esperienza, come tutti i vecchi che hanno smarrito nel tempo le proprie capacità selettive, crede nel volantino pubblicitario che gli arriva a casa e che gli segnala una sostanziosa vincita in denaro. Vincita che intende fermamente andare a riscuotere, assecondato da un figlio che prima tenta invano di riportarlo alla realtà, poi evidentemente si convince che la cosa migliore da farsi sia assecondarlo.
Ebbene, i caratteri saranno pure enfatizzati, ma l’insieme è
talmente emozionante e ironico, competente nella descrizione dei bisogni
‘ottusi’ dell’anziano, recitato alla grande, che non è possibile non goderselo
da cima a fondo.
E, tanto per metterci
la solita fetta di me, è tornato prepotentemente a galla il dubbio che mi ha
accompagnato per qualche anno, e cioè se fosse giusto o meno negare a mio padre
il suo desiderio, più volte ribadito, di fare una viaggio aereo insieme prima
della sua morte, solo perché ho creduto di rendermi conto della difficoltà che
questo avrebbe rappresentato per la sua ormai inesistente forza fisica e
difficoltà a reggere uno spostamento anche
fino al supermarket. E, a chi afferma
che il finale che vede il vecchio Woody trionfante sul suo pick-up sia
davvero inverosimile, ricordo che,
sempre mio padre, allora ultraottantenne, quando arrivai da lui con una decapottabile, volle
andare a un matrimonio con l’auto scoperta, la coppola, gli occhiali da sole e
un foulard all’inglese al collo, perché
sosteneva di essersi immaginato così da sempre (?!?). Ragazzi, i sogni, anche banali, esistono e se alcuni dedicano
loro (stavo per scrivere sprecano, ma mi sono autocensurata) una vita, altri li
lasciano affiorare appena la ragione non agisce più da deterrente.
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